* Rubrica a cura di Alessandro Mesini, esperto del verde
La primavera ancora deve arrivare, la neve resta lungo le scoline, nei versanti a nord, sotto le siepi, e già la terra cerca di rinnovarsi, di seguire quella tentazione che è nell’aria dei primi giorni marzo, facile a scaldarsi durante il giorno per tornare gelida di notte. Pochi fiori riescono a vincere il gelo: il bucaneve, il campanellino d’inverno, i crochi, le scille, e per finire, i meno considerati, la farfara ed il farfaraccio.
I farfaracci fioriscono a partire da gennaio formando una turrioni ricoperti da fiori con petali filamentosi, bianchi per il farfaraccio bianco, rosa porpora per il farfaraccio maggiore. Fecondati dalle api si trasformeranno in frutti pelosi che saranno diffusi dal vento.
Le foglie diventeranno evidenti e crescono solo dopo la fioritura. Sono grandi ed è proprio alla loro particolare ampiezza che si deve il nome. Deriva dal greco “Petàsos”, cappello a falde larghe usato dagli antichi per coprirsi la testa e ripararsi dalla pioggia. Sono piante erbacee e perenni dotate di un forte rizoma tuberoso strisciante, largamente diffuse in Europa, Asia e Nord America.
Impiegato come pianta medicinale fin dall’antichità, oggi di utilizzo sporadico, divenne popolarissimo nel XV secolo quando fu utilizzato per curare la peste.
Il genere è composto da sole cinque specie, ma nessuna può competere con l’elegante Petasites albus, il farfaraccio bianco. Si trova nei luoghi umidi, nelle radure, lungo le scoline delle strade bianche. I fiori, capolini di colore bianco o biancastro, sono riuniti in dense infiorescenze di forma emisferica od oblunga. Le foglie sono riconoscibili per il tomento lanuginoso di colore biancastro che ricopre la pagina inferiore.
Dove la neve si ritira, sui ghiaioni o al bordo strada, sempre ben esposta al sole, ecco inaspettata la farfara, di un giallo invitante, prima margherita dell’anno. Fiorisce per una breve stagione e per il resto dell’anno, dopo che è salita a seme, liberando leggeri piumini biancastri, se ne perdono le tracce. Tussilago farfara, nota come Tussilagine comune, è pianta perenne, alta da 5 a 20 cm, che secondo l’esposizione e la copertura del suolo, da parte del manto nevoso o dalla morsa del ghiaccio, fiorisce fino ad aprile. Occupa la fasce collinare, subalpina e alpina, radicando in terreni freschi, umidi, a reazione alcalina o ricchi di calcio, ghiaioni, gole e terreni fortemente scoscesi.
I fiori si formano prima della formazione delle foglie tanto che spesso non si riesce a ricostituire un legame fra i due elementi. Le foglie basali, cuoriformi o rotondeggianti, sono di colore verde con lunghi piccioli rossastri. Si originano direttamente dal rizoma e dopo la fioritura sviluppano una tomentosità biancastra che rende la pianta riconoscibile dopo che i pappi sono stati dispersi dal vento e dall’acqua. Il margine sinuoso è finemente seghettato.