Il Forest bathing fa bene, lo spiegano gli esperti
I "bagni di foresta" favoriscono il benessere e riducono lo stress
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In Italia, circa l’80 per cento
della popolazione vive in aree più o meno urbanizzate. Soltanto il 20 per cento
vive in contesti rurali. Negli altri paesi europei, la situazione non è molto
differente. Vivere nella natura, per paradosso, è diventata la nostra
condizione meno naturale. Da qui, il bisogno di far tesoro delle poche
scampagnate che riusciamo a concederci fra una routine e l’altra della vita quotidiana.
Tanto che il contatto con la natura ha assunto un valore terapeutico ben
codificato dal punto di vista scientifico, e un termine molto rappresentativo è
stato appositamente coniato: forest therapy, o forest medicine: “Una
visione terapeutica emergente tra psicologi, biologi, medici e operatori sanitari
- come spiegano Marco Mencagli e Marco Nieri nel libro La terapia segreta degli
alberi (Sperling & Kupfer) – che, grazie a studi ed esperienze
multidisciplinari, riconosce alla natura e agli spazi verdi un grande potere
benefico, peraltro già in parte noto alle antiche culture popolari”.
Dall’individuazione del contatto
con la natura come elemento terapeutico è nata la pratica del forest bathing,
(in giapponese, Shinrin-yoku) cioè “la ricerca degli alberi che
interagiscano con noi a livello energetico, o anche solo introdurre e coltivare
delle piante in casa o in ufficio”. Fin dalla sua comparsa sulla terra, la
specie umana ha trascorso il 99,5 per cento del proprio tempo evolutivo in
ambienti totalmente naturali. Prendiamo questa tendenza a riabbracciare la
vegetazione e l’habitat naturale, quindi, come un legittimo ritorno alla nostra
condizione di partenza. Una condizione che, pur a patto di assecondare, per
quanto possibile, i ritmi incalzanti della vita contemporanea, non possiamo lasciarci
alle spalle, perché la sua negazione comporta un drastico peggioramento del
nostro benessere, e della nostra salute psicofisica.
Il coautore del libro La terapia segreta degli alberi, Marco Nieri
In molti paesi anglosassoni, in
estremo oriente e, in tempi più recenti, anche in area scandinava, sono
stati effettuati studi sulla correlazione tra la vicinanza agli spazi verdi e
la salute umana. Non si tratta solo di capire che il verde “fa bene”, concetto
peraltro già ben fissato nella coscienza collettiva, ma quanto e come
faccia bene. Nel 2010, un gruppo di ricercatori danesi ha pubblicato sullo
Scandinavian Journal of Public Health uno studio condotto su un campione di
11.238 cittadini residenti in Danimarca, con lo scopo di stabilire eventuali
connessioni tra la fruizione di spazi verdi, la qualità della vita e lo stress.
Gli intervistati che abitavano a più di un chilometro di distanza da un parco,
una foresta, un lago o una spiaggia a bassa antropizzazione, avevano in media
il 42 per cento di probabilità in più di sentirsi stressati, rispetto a quelli che
vivevano a meno di trecento metri da quelle stesse aree. Inoltre, le persone meno
stressate tendevano a ritornare più frequentemente nelle aree verdi rispetto
alle altre. Come dire: la vicinanza con la natura riduce lo stress, la
riduzione dello stress fa venir voglia di tornare nella natura. Un meccanismo
virtuoso e circolare.
Un contributo sostanziale a questo tipo di ricerca è
arrivato dagli studi sui monoterpeni emessi dalle piante. L’azione benefica
della natura sugli individui non è affatto di tipo psicologico, o almeno non
soltanto. Non si tratta di autosuggestione. Il condizionamento psicologico,
chiaramente, esiste, ma il modo in cui le piante ci fanno bene (il come,
appunto) non si esaurisce lì.
I monoterpeni sono molecole di
origine organica inserite nella più ampia famiglia dei terpeni, o terpenoidi, costruite
su dieci atomi di carbonio. Sono molto volatili, cioè passano facilmente allo
stato aeriforme o gassoso, e sono molto diffusi in natura, prodotti da molte
piante, oltre che da funghi, batteri, e alcuni insetti, seppure in quantità inferiori. Perché costituiscano la base tipica di resine e olii essenziali, è
quindi intuibile. I monoterpeni sono i principali responsabili dell’odore delle
foglie e dei fiori. Il loro assorbimento attraverso la pelle e le mucose è semplice,
con ricadute positive sulle funzioni immunitarie, effetti espettoranti e
decongestionanti, digestivi, azione antisettica, antispastica, analgesica. Ma
non basta il contesto naturale a favorire l’assorbimento ottimale di
monoterpeni, così come la predisposizione psicologica a riceverne i benefici. Alcuni
ambienti, come le faggete, sono particolarmente adatti allo scopo. Altri, pur
presentando un’abbondante vegetazione, non risultano utili. Altri ancora,
sempre rimanendo nel contesto naturale, posso addirittura favorire sentimenti
di disagio.
L’Oasi Zegna, come spiegano ancora Mencagli e Nieri nel loro
volume, è un luogo prezioso per il forest bathing. “La conduzione lungimirante
dell’Oasi – raccontano – ha permesso di fare di questo luogo una vera officina
per applicare e sperimentare le più avanzate tecniche di forest therapy:
dapprima con un percorso di esperienza bioenergetica con gli alberi, in seguito
con i primi sentieri studiati appositamente per il forest bathing. L’idea
è nata da una serie di valutazioni che, per iniziativa della Fondazione Zegna,
noi stessi abbiamo condotto nel 2014 sulla vegetazione di una parte dell’Oasi,
dove predominano dense faggete particolarmente idonee a praticare questa
attività. Ne è nato uno studio accurato che, prendendo spunto dalle citate
ricerche internazionali e introducendo precisi parametri per la stima del
potenziale emissivo degli alberi, ci ha permesso di individuare tre percorsi ad
anello ideali per il forest bathing. Per dare attuazione al progetto sono state
prese in esame le specie arboree esistenti (in particolare il faggio), la loro
densità, l’esposizione, i venti dominanti e diverse altre variabili in grado di
condizionare l’esito delle passeggiate nel bosco, tra cui la facilità di
accesso e percorrenza”.
Il modo migliore per godere appieno
dei benefici che il forest bathing nell’Oasi Zegna può offrire, spiegano gli
autori, è un "protocollo standard di tre giorni per complessive 10-12
ore di forest bathing, ma è possibile programmare anche escursioni di un solo
giorno”.