
Alcuni, tra i figli degli
espositori che avevano uno stand alla “Tre giorni”, sono rimasti a giocare per
giorni. Unire la didattica all’esperienza ludica, per quanto molto diffusa, è
una tecnica che nei laboratori montessoriani raggiunge la sua massima
espressione. Nel caso dei laboratori intitolati “Tanti infestanti modi”, il cui
nome ruota intorno alle caratteristiche del bambù (pianta infestante, per l’appunto),
l’attività laboratoriale è preceduta dalla descrizione delle peculiarità del
materiale utilizzato. «Sono caratteristiche che contraddistinguono molti
materiali – spiega Ruggero Poi – a cui normalmente non facciamo caso. I bambini
hanno realizzato sculture, modellini di imbarcazioni, piramidi, sia in due che
in tre dimensioni. Noi abbiamo fornito loro soltanto le indicazioni su come fabbricare
i nodi per legare fra loro i pezzi di bambù. La logica è quella di renderli
autonomi nel processo d’ideazione e costruzione dei loro modelli così che loro,
adoperando la fantasia, possano costruire ciò che più gli piace sviluppando la
loro competenza immaginativa. È ciò di cui parlava anche Bruno Munari, che su
questi temi ha sviluppato il proprio lavoro».
Ma cosa contraddistingue, in
poche parole, i laboratori d’ispirazione montessoriana da tutti gli altri?
«Se parliamo del bambù – racconta
Poi -, tanto per cominciare ritorna bambù. L’elemento che è stato utilizzato
per costruire, una volta terminata l’esperienza ritorna al suo stato
originario. L’esperienza è lì, nel processo di costruzione e di utilizzo. Potremmo
dire, semplificando molto, che i cardini dei laboratori montessoriani sono tre.
Reversibilità: finita l’esperienza, i materiali tornano a essere ciò che erano
in precedenza. Educazione cosmica: tutti gli elementi ambientali sono collegati
fra loro in maniera indissolubile. Autonomia: ai partecipanti vengono forniti
gli elementi sufficienti a renderli autonomi e in grado di ripetere l’esperienza
da soli. Al di là di queste tre direttrici, un elemento importante dei
laboratori montessoriani è l’errore, visto in chiave positiva come una tappa
necessaria del percorso di apprendimento».
Le
attività della cooperativa Tantintenti, a cui partecipano per la gran parte bambini
dai due ai dodici anni, prevedono spesso l’utilizzo delle tecniche di
storytelling: l’esperienza viene introdotta attraverso la narrazione di una
storia, in modo che alcuni concetti chiave rimangano impressi nella memoria del
bambino. I materiali usati sono quasi sempre di facile reperibilità. Solo in
alcuni casi, come quello in cui la cooperativa ha coinvolto il direttore del
planetario di Milano, Fabio Peri, in un laboratorio intitolato “Esistono le
formiche su Marte?”, anche gli oggetti tecnologici possono servire allo scopo.
Giornali, scatole, spago… Anche le scatole delle cravatte prodotte da Zegna sono
diventate, in qualche caso, oggetto di utilizzo in un laboratorio di
Tantintenti. La cooperativa, il cui percorso è cominciato nel 2016 con Casa
Zegna, è al lavoro per l’organizzazione di “Com’è fatto”, un laboratorio incentrato
sulla collaborazione con il mondo dell’impresa per raccontare la costruzione di
prodotti reali. «L’idea – conclude Ruggero Poi – è quella mettere il bambino al
centro di un’esperienza costruttiva che coinvolga non soltanto lui, ma l’intera
famiglia. Il laboratorio dev’essere, appunto, un’esperienza familiare».